venerdì 14 dicembre 2012

Mafia e Chiesa


Ecco un elaborato dell'Istituto Magistrale "A. Galizia", Via Petrosini 1, Nocera Inferiore (Sa). 
Un'interessante disamina del rapporto tra Mafia e Chiesa, tesi discutibile e provocatoria, ma ben strutturata che per tali meriti si è aggiudicata il premio come miglior componimento per il concorso "Cara mafia ti scrivo".  
                                                      
Sicuramente il cammino della lotta alla mafie è ancora arduo e lungo, nonostante sono anni che l’impegno a sradicare la criminalità sia sempre più grande. Sorgono quindi numerosi interrogativi e tantissimi dubbi sul perché non si sia ancora riusciti a debellare il fenomeno mafioso. Quali  possono essere le soluzioni che potrebbero intaccare i motivi di successo della mafia?
Numerosi sono stati gli studiosi che hanno evidenziato quali sono i rapporti che il sistema criminale ha con le istituzioni politiche, sociali e religiose, anche perché non bisogna dimenticare che la realtà mafiosa vive in una realtà politica, sociale e religiosa ben nota. È un caso che la mafia si sia allargata a macchia d’olio in un paese così cattolico come il nostro, dove il bene dovrebbe prevalere sul male? Nessuno lo può pensare sul serio. Forse la vera e propria ragione è culturale, ideologica:  sta nel fatto che la Chiesa si ostina a vedere nel mafioso una vera pecorella smarrita da recuperare, e si dimentica dell’ira santa e giusta di Cristo che scaccia i mercanti dal Tempio. Cristo perdona l’adultera, non la condanna, ma soprattutto le chiede di non peccare più.
Il vero paradosso è proprio che la Chiesa, che è per suo “statuto” radicalmente antiviolenta, si presta ad una legittimazione teorica della violenza, addirittura della violenza organizzata. Lo scandalo è che i mafiosi sono stati accettati come uomini credenti e devoti; la vergogna è che la Chiesa, con i suoi silenzi, con le sue coperture, con le sue assoluzioni è responsabile non solo ideologica, ma anche materiale dello sviluppo delle mafia. Sarebbe quindi necessario che si praticasse sempre di più un’educazione alla legalità che veda come protagonisti anche quei membri della Chiesa cattolica che hanno assunto e continuano sfacciatamente ad avere atteggiamenti omertosi e di servilismo  nei confronti del crimine; e se nei Promessi sposi del Manzoni troviamo accanto a don Abbondio l’immagine forte e giusta di Frate Cristoforo, noi invece finiremo per avere una folta schiera di curati che non hanno sicuramente un cuore di leone. Che dovrebbe fare la Chiesa, allora?
La questione è che non si tratta tanto di scomunicare i mafiosi, ovvero di cacciarli fuori, quanto di elaborare una teologia davvero evangelica a cui i mafiosi siano allergici. Da una chiesa povera e fraterna, i mafiosi, che perseguono potere e denaro, si auto-escluderebbero da soli e anzi la considererebbero nemica. Invece in questa Chiesa potente, gerarchica, verticistica, omofoba e ritualistica i mafiosi si trovano bene, perché vi trovano molte analogie con i propri codici di comportamento: certa teologia cattolica e  la teologia mafiosa sono sulla stessa linea. Le organizzazioni criminali di tipo mafioso non avrebbero potuto mai ricoprire un ruolo plurisecolare nella storia meridionale e dell’intera nazione se, oltre alla connivenza di settori dello Stato e di parte consistente delle classi dirigenti locali, non avessero beneficiato del silenzio, della indifferenza, della svalutazione e anche del sostegno dottrinale di una teologia che trasforma degli assassini in pecorelle smarrite da recuperare piuttosto che da emarginare dalla Chiesa e da denunciare alla luce del giorno. In che modo può la Chiesa tollerare la presenza della mafia all'interno delle sue liturgie? Del resto la Chiesa stessa non chiarisce i nostri dubbi, dal momento che non ha espresso una posizione unitaria nei confronti del fenomeno mafioso.
I mafiosi, da parte loro, sono religiosi perché la dimensione religiosa è un elemento fondamentale di appartenenza e d’identità. Un altro elemento da tener presente è quello strumentale: è emerso chiaramente negli ultimi anni che la mafia non è forte quando spara, ma quando non ha bisogno di farlo, quando ha il consenso, quando normalizza l'illegalità. E un ruolo  di normalizzazione e di consenso per eccellenza è senza dubbio quello svolto dalla Chiesa.

 Sara Russo, Martina Fabbi, Federica Ruggiero, Ylenia Foggia e Gerardo Di Natale.

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